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Florence Owens Thompson - Dorothea Lange — Il forum di Fotocontest
le dichiarazioni della donna ritratta mi riportano alla "poesia" NON FOTOGRAFARE di Ando Gilardi, alimentando dubbi.
11 anni fa
utente cancellato
Spunto interessante, ma la poesia che riporti è figlia di un altro tempo, in cui ovunque c'è chi cerca di "rubare" emozioni, calpestando la sofferenza a volte.
11 anni fa
utente cancellato
giusto e condivido, ma a quel tempo è stata comunque fatta violenza (la stessa odierna), a cui non è stato possibile sottrarsi.
"Le peggiori infamie fotografiche si commettono in nome del diritto all’informazione": avrà ragione?
Oggi le peggiori infamie fotografiche le fanno le videocamere di sorveglianza. E' colpa loro? No, loro sono oggetti, sono piazzati lì e riprendono continuamente il loro angolo visuale, sempre lo stesso. Quindi? Quindi le peggiori infamie le fanno le persone, come da sempre succede, ed oggi diventano fotografiche per la maggior parte dei casi senza intervento di un fotografo. Però non le vediamo, o quantomeno non ne vediamo la stragrande maggioranza, perchè non è vero che tutto è concesso in nome del diritto all'informazione, non è vero che tutta l'informazione è fatta di squali affamati di tragedie. Al tempo di cui parlava Gilardi è stata fatta violenza a molti, impossibilitati a difendersi, ma nemmeno lui si è astenuto da questo gioco violento, facile pentirsi dopo, quando non è più possibile, o almeno è molto più difficile, perpetrare quella violenza. Se hai bisogno di partecipare per capire che è sbagliato, non sei un illuminato precursore, sei solo un pentito.
Per tornare al concetto iniziale, bisognerebbe piuttosto chiedersi se il portare a conoscenza della più grande massa possibile di persone certe situazioni, certe emozioni, certe infamie può essere educativo o no, se l'umanità è in grado di imparare dalle immagini o se davvero tutto questo è solo un inutile esercizio di speculazione del dolore altrui. La verità , come già avevano capito più di duemila anni fa i nostri diretti antenati, sta sempre nel mezzo, ed oggi sembra che questo semplice concetto si tenda troppo spesso e in troppi campi a dimenticarlo.Â
11 anni fa
utente cancellato
"...un... ...esercizio di speculazione del dolore altrui...", che al tempo di oggi lo vedo come un ossessivo bisogno di emergere, mostrando quanto si è bravi (sapendo, o supponendo, che l'osservatore ne rimarrà "colpito" )
Beh, shot, l'ossessivo bisogno di emergere non è figlio di questi tempi, esiste da prima che l'uomo diventasse sapiens, e sono almeno un centinaio d'anni che si cogniuga con la fotografia. Il fatto che oggi siamo di più e quindi sono di più quelli che hanno "l'ossessivo bisogno" non cambia la situazione se non numericamente.
Bisognerebbe invece chiedersi se questo bisogno primario può essere superato da una progenie che si autodefinisce "sapiens", e se c'è qualcosa oltre questo bisogno, qualcosa di didattico.
11 anni fa
utente cancellato
...chiedersi, perchè per dimostrare di essere bravi e emergere dal mucchio ci si sente in diritto di fare violenza fotografando: - gli straccioni, i senza lavoro, gli affamati - il malato di mente, il paralitico, i gobbi e gli storpi - un uomo solo perchè la sua testa è troppo grossa, o troppo piccola, o in qualche modo deforme - ecc... ecc... ecc...
11 anni fa
utente cancellato
Già ', ma se dei fotografi avessero testimoniato un po' prima, con le loro immagini, cosa succedeva nei manicomi ,sicuramente l'avrebbero chiusi più' tempestivamente.Fotografare certe" situazioni "non sempre e' sciacallaggio ,spesso serve per portare alla luce realtà ' scomode che,altrimenti, rimarrebbero nell'ombra.
11 anni fa
utente cancellato
utente cancellato ha scritto:
Già ', ma se dei fotografi avessero testimoniato un po' prima, con le loro immagini, cosa succedeva nei manicomi ,sicuramente l'avrebbero chiusi più' tempestivamente.Fotografare certe" situazioni "non sempre e' sciacallaggio ,spesso serve per portare alla luce realtà ' scomode che,altrimenti, rimarrebbero nell'ombra.
È un compito del fotogiornalismo questo, praticamente usciamo dall'ambito della fotografia artistica.Â
Vero, ma la foto della Thompson che hai proposto è fotogiornalismo, non arte. E' per questo che la discussione si orienta sul reportage...
11 anni fa
utente cancellato
Degomera681 ha scritto:
Vero, ma la foto della Thompson che hai proposto è fotogiornalismo, non arte. E' per questo che la discussione si orienta sul reportage...
mmm sì, ma sicuramente "l'estetica" qui ha contato parecchio per rendere celebre questa foto.
11 anni fa
utente cancellato
Non credo che la "fotografia sociale" sia solo ad appannaggio di chi fa fotogiornalismo. Le fotografie sono lo specchio delle emozioni di chi fotografa e,considerando che lo sdegno e' un'emozione , può' essere utile condividerlo con altri. Sempre con grande rispetto per chi soffre ma che spesso non chiede altro che poter uscire dall'ombra e far sentire la propria voce. Purtroppo ci sono persone che,a causa della loro ambizione, non si fanno nessuno scrupolo nell'uso delle proprie fotografie. Ma non bisogna demonizzare tutte le foto" artistiche sociali". Dietro ci sono anche tanti buoni propositi.
"A cosa serve una grande profondità di campo se non c'e' un'adeguata profondità ' di sentimento? " Eugene Smith
Florence Owens Thompson - Dorothea Lange
utente cancellato
La storia dietro uno scatto meraviglioso. Da leggere e se volete, discutere qui.
utente cancellato
le dichiarazioni della donna ritratta mi riportano alla "poesia" NON FOTOGRAFARE di Ando Gilardi, alimentando dubbi.utente cancellato
Spunto interessante, ma la poesia che riporti è figlia di un altro tempo, in cui ovunque c'è chi cerca di "rubare" emozioni, calpestando la sofferenza a volte.utente cancellato
giusto e condivido, ma a quel tempo è stata comunque fatta violenza (la stessa odierna), a cui non è stato possibile sottrarsi."Le peggiori infamie fotografiche si commettono in nome del diritto all’informazione": avrà ragione?
utente cancellato
Il giorno dopo il terremoto dell'Aquila, un mio amico mi chiese di andare con lui a fotografare fra le macerie. Lui ha fatto un bel reportage, io non ci sono andato perché non mi andava di "sciacallare". Chi avrà avuto ragione?utente cancellato
rispettare la PERSONA che si vuole ritrarre, prima di tutto, che non è un oggetto.Degomera681
Oggi le peggiori infamie fotografiche le fanno le videocamere di sorveglianza. E' colpa loro? No, loro sono oggetti, sono piazzati lì e riprendono continuamente il loro angolo visuale, sempre lo stesso. Quindi? Quindi le peggiori infamie le fanno le persone, come da sempre succede, ed oggi diventano fotografiche per la maggior parte dei casi senza intervento di un fotografo. Però non le vediamo, o quantomeno non ne vediamo la stragrande maggioranza, perchè non è vero che tutto è concesso in nome del diritto all'informazione, non è vero che tutta l'informazione è fatta di squali affamati di tragedie. Al tempo di cui parlava Gilardi è stata fatta violenza a molti, impossibilitati a difendersi, ma nemmeno lui si è astenuto da questo gioco violento, facile pentirsi dopo, quando non è più possibile, o almeno è molto più difficile, perpetrare quella violenza. Se hai bisogno di partecipare per capire che è sbagliato, non sei un illuminato precursore, sei solo un pentito.Per tornare al concetto iniziale, bisognerebbe piuttosto chiedersi se il portare a conoscenza della più grande massa possibile di persone certe situazioni, certe emozioni, certe infamie può essere educativo o no, se l'umanità è in grado di imparare dalle immagini o se davvero tutto questo è solo un inutile esercizio di speculazione del dolore altrui. La verità , come già avevano capito più di duemila anni fa i nostri diretti antenati, sta sempre nel mezzo, ed oggi sembra che questo semplice concetto si tenda troppo spesso e in troppi campi a dimenticarlo.Â
utente cancellato
"...un... ...esercizio di speculazione del dolore altrui...", che al tempo di oggi lo vedo come un ossessivo bisogno di emergere, mostrando quanto si è bravi (sapendo, o supponendo, che l'osservatore ne rimarrà "colpito" )Degomera681
Beh, shot, l'ossessivo bisogno di emergere non è figlio di questi tempi, esiste da prima che l'uomo diventasse sapiens, e sono almeno un centinaio d'anni che si cogniuga con la fotografia. Il fatto che oggi siamo di più e quindi sono di più quelli che hanno "l'ossessivo bisogno" non cambia la situazione se non numericamente.Bisognerebbe invece chiedersi se questo bisogno primario può essere superato da una progenie che si autodefinisce "sapiens", e se c'è qualcosa oltre questo bisogno, qualcosa di didattico.
utente cancellato
...chiedersi, perchè per dimostrare di essere bravi e emergere dal mucchio ci si sente in diritto di fare violenza fotografando:- gli straccioni, i senza lavoro, gli affamati
- il malato di mente, il paralitico, i gobbi e gli storpi
- un uomo solo perchè la sua testa è troppo grossa, o troppo piccola, o in qualche modo deforme
- ecc... ecc... ecc...
utente cancellato
Già ', ma se dei fotografi avessero testimoniato un po' prima, con le loro immagini, cosa succedeva nei manicomi ,sicuramente l'avrebbero chiusi più' tempestivamente.Fotografare certe" situazioni "non sempre e' sciacallaggio ,spesso serve per portare alla luce realtà ' scomode che,altrimenti, rimarrebbero nell'ombra.utente cancellato
Degomera681
Vero, ma la foto della Thompson che hai proposto è fotogiornalismo, non arte. E' per questo che la discussione si orienta sul reportage...utente cancellato
utente cancellato
Non credo che la "fotografia sociale" sia solo ad appannaggio di chi fa fotogiornalismo. Le fotografie sono lo specchio delle emozioni di chi fotografa e,considerando che lo sdegno e' un'emozione , può' essere utile condividerlo con altri. Sempre con grande rispetto per chi soffre ma che spesso non chiede altro che poter uscire dall'ombra e far sentire la propria voce. Purtroppo ci sono persone che,a causa della loro ambizione, non si fanno nessuno scrupolo nell'uso delle proprie fotografie. Ma non bisogna demonizzare tutte le foto" artistiche sociali". Dietro ci sono anche tanti buoni propositi."A cosa serve una grande profondità di campo se non c'e' un'adeguata profondità ' di sentimento? " Eugene Smith